“La Diagnosi è il primo passo nel processo tecnologico che permette di trasformare una persona con un fastidio non ben precisato in un paziente con un disturbo psichico definito” (S.A. Kirk, H. Kutchins, 1992)
La diagnosi è una tappa molto importante per chi chiede una consultazione; la persona può trovarsi in un momento cruciale della propria vita accompagnato da sofferenza e malessere psichico e talvolta anche fisico.
Per poter formulare una diagnosi è fondamentale che il clinico conosca in modo approfondito il paziente per averne un quadro completo e comprenderne il funzionamento globale (cognitivo, emotivo, relazionale etc.). Inoltre senza la diagnosi non sarebbe possibile fare una prognosi e prescrivere un eventuale trattamento psicoterapeutico ad hoc.
Ma quali sono gli strumenti di cui il clinico si avvale per “fare diagnosi”? Colloqui, osservazione, visite specialistiche (invii ad altri specialisti) e somministrazione di test psicodiagnostici.
Poniamo l’attenzione sulla fase della raccolta anamnestica, che avviene tramite colloqui e che vede il coinvolgimento del clinico e del paziente. Lo scopo è di indagare ed ottenere informazioni relative a più ambiti della vita del paziente. In primis si pone l’interesse sul motivo della consultazione, sui sintomi e sul significato che questi hanno per il paziente stesso; vengono scandagliati svariati ambiti della sua vita, le fasi e i momenti più importanti: anamnesi familiare, anamnesi personale, anamnesi scolastica/lavorativa, anamnesi patologica, anamnesi psicopatologica, relazioni sentimentali e di amicizia, ambito sessuale e le abitudini di vita. Si indagano inoltre le emozioni che hanno accompagnato le fasi più critiche. Il clinico deve ascoltare attentamente le informazioni fornite dal paziente e capire cosa questi intende dire.
La raccolta dei dati anamnestici è una delle fasi più delicate dell’iter diagnostico poiché il paziente è “costretto” a ripescare nel passato ricordi, eventi e sentimenti, talvolta dolorosi, a cui difficilmente pensa quotidianamente; è probabile, infatti, che nei primi colloqui il paziente riporti uno stato di sofferenza, confusione, malinconia come conseguenza del lavoro anamnestico.
L’alleanza diagnostica è una componente indispensabile per lo svolgimento dell’iter diagnostico. In particolare è una speciale relazione emotiva che si stabilisce tra clinico e paziente in cui entrambi hanno un proprio ruolo e proprie capacità di cui disporre per raggiungere lo scopo condiviso. Il processo diagnostico può essere descritto come uno scambio bidirezionale che richiede partecipazione attiva dei soggetti coinvolti. Inoltre, per raggiungere lo scopo è necessario che il processo diagnostico sia uno spazio in cui è necessario una sospensione del giudizio e che non vengano effettuate scelte a priori riguardo all’applicazione di un modello della mente per evitare una psicologizzazione precoce.
La tipologia di pazienti è varia. Estremizzando, da un lato ci si trova davanti la signora loquace ed emotiva che racconta la propria storia in modo preciso comunicando le emozioni provate, manifestandole, talvolta, anche durante il colloquio, dall’altro il ragazzo coartato emotivamente che si limita a rispondere alle domande che gli vengono poste.
È responsabilità del clinico tenere in mente lo scopo dei colloqui limitando i pazienti che divagano in racconti ostacolando e/o rallentando la raccolta dei dati e stimolando, però, quei pazienti che hanno difficoltà ad esprimersi ed a parlare di sé.
CONCLUSIONE
La raccolta dei dati bio-psico-sociali è un lavoro impegnativo e lungo per entrambi, clinico e paziente. È necessaria una competenza specifica da parte del professionista per poter svolgere questo tipo di lavoro, soprattutto per le caratteristiche che contraddistinguono questa fase dell’iter diagnostico. Rappresenta una fase funzionale alla formulazione della diagnosi poiché l’avere un quadro clinico il più possibile completo favorisce la pianificazione di un intervento personalizzato psicologico e/o psicoterapeutico.
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